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Dall’Africa al Qatar, passando per la provincia italiana

Recensione dei numeri 5, 6 e 7 di «Linea Mediana», rivista di calcio e politica

Per analizzare, per la terza volta, l’attività della rivista «Linea mediana» (qui e qui), occorre riavvolgere il nastro di oltre un anno e ripartire dal n. 5, dedicato alla Coppa d’Africa del febbraio 2022 e uscito poco dopo la sua conclusione. L’edizione poi se l’aggiudicò il Senegal, sconfiggendo a Yaoundé ai rigori 4-2 l’Egitto, confermando la propria forza calcistica nel febbraio 2023, aggiudicandosi il Campionato africano per nazioni (CHAN, riservato ai calciatori che militano nei campionati locali africani) ai danni del paese ospitante, l’Algeria. A questo torneo, per inciso, non ha partecipato il Marocco, reduce da un ottimo quarto posto ai mondiali in Qatar, a causa dei pessimi rapporti diplomatici tra i due Stati maghrebini per la questione del Sahara occidentale (Algeri sostiene il Fronte Polisario per l’autodeterminazione della Cabilia, occupata dall’esercito di Rabat).

Il n. 5 della rivista parla(va) d’altro, della Coppa d’Africa. Concentrarsi sul «torneo meno sopportato del calcio dei ricchi, che si vede portare via nel bel mezzo della stagione alcuni dei suoi migliori giocatori», è un modo – ricorda Valerio Moggia nell’introduzione – per liberarsi da quell’«imperialismo culturale» europeo che ha visto spesso nella Coppa d’Africa «un collettore di storie bizzarre» (p. 3). La chiave di lettura qui proposta è quella della dicotomia tra il calcio come «fenomeno neo-coloniale» e il «neocolonialismo del calcio», e i contributi propongono storie e fenomeni di grande interesse: il «modello Senegal», appunto, ma anche il calcio algerino, dagli anni ’80 in poi (Moggia, pp. 10-13); la squadra del Fronte di Liberazione Nazionale dell’Algeria, nata nel 1958 e poi in tournée (soprattutto nei paesi del blocco socialista) dopo lo scontato mancato riconoscimento FIFA (Gianni Galleri, pp. 4-6). Legati al tema del tifo sono gli articoli di Simone Renza sulla repressione negli stadi, in particolare quella del febbraio 2012 a Port Said, che costò la vita a 74 tifosi dell’Al Ahly del Cairo (L’Egitto tra Salah e Al Sisi, pp. 7-9), e quello di Giuseppe Ranieri, che legge nel fenomeno ultras il segnale della «rinascita politica in Nord Africa» (pp. 33-36; sul tema era già intervenuto, insieme a Matthias Moretti, in Curve pericolose. Antagonisti, sovversivi, antifa: quando le gradinate minacciano il potere, Il Galeone 2021).

Leggendo «Linea mediana» apprendiamo le vicende della squadra della Sierra Leone, qualificatasi alla Coppa d’Africa dopo ben 26 anni (Gabriele Anello, pp. 28-30) e dell’Etiopia di Luciano Vassallo (nato in Eritrea da unione mista nel 1935, divenuto «meticcio» con la legge fascista del 1940), vincitrice dell’edizione del 1962 (Pierluigi Biondo, pp. 31-32). Alla persistenza di pregiudizi e stereotipi razzisti sui calciatori neri nelle cronache giornalistiche (commentando Racial Bias in Football Commentary: The Pace and Power Effect, inchiesta condotta nel 2021 da Dan­ny McLoughlin di RunRepeat insieme alla FA, sui campionati inglese, francese, spagnolo e italiano) è dedicato l’intervento di Edoardo Molinelli (pp. 14-17), mentre Vincenzo Lacerenza rileva che, tra gli africani, il problema del razzismo era «sconosciuto», a dispetto ad esempio della diffusione del razzismo nei paesi maghrebini verso le popolazioni nere sub-sahariane  (pp. 24-27).

Nel 2022 sono usciti altri due numeri di «Linea mediana», il 6 (luglio 2022) e il 7 (novembre 2022). Il primo, dedicato a Calcio e provincia, propone un viaggio attraverso l’Italia (con qualche incursione all’estero: l’intervista di Nicolò Rondinelli al fotografo Mickael Kirkham, autore di un portfolio sulla Liverpool calcistica, e l’articolo di Gianni Galleri sul «concetto di provincia nei Balcani»: pp. 15-17), alla scoperta di realtà poco conosciute. Nell’articolo di apertura Valerio Moggia (autore da quasi due anni del pregevole podcast Pallonate in faccia) ripercorre le vicende di un fenomeno nato durante la pandemia di Covid-19 e già sgonfiatosi nel 2022: il ricorso, da parte di varie società di calcio, italiane e non, al finanziamento attraverso i NFT (Non-Fungible Tokens). E per farlo parte dalla provincia, dal Novara calcio, che nel 2020 aveva sottoscritto un accordo con la compagnia Socios.com per vendere, appunto, questa criptovaluta che dava diritto, ad esempio, a scegliere la canzone da trasmettere allo stadio (quasi un plebiscito per Thunderstruck degli AC/DC): una forma di «fidelizzazione dei fan e dei tifosi» (p. 4) soggetta, in quanto «simulacro della borsa valori», alle oscillazioni del mercato, che ha fatto «crash» come la squadra, non iscritta nel 2021/22 al campionato di serie C.

La questione rinvia a quella più generale affrontata in questo numero: per una squadra di provincia è meglio «sognare in grande o vivere alla propria dimensione»? (p. 6). Risposte univoche, come ovvio, non ve ne sono e non è possibile in poche pagine restituire tutta la geografia del calcio di provincia in Italia. Si parte dal sud, dal Salento, terra storicamente di emigrazione, descritta attraverso la parabola di due società – Gallipoli e Casarano – assunte a emblema di quanto il calcio di provincia sia spesso «fatto di vane illusioni e di sogni spezzati» (Simone Renza, pp. 10-14). Si prosegue con la storia del Catanzaro calcio e del suo «rapporto imperfetto» con la città, di cui è stata ed è «fiore all’occhiello», pur nella sistematica diaspora dei propri talenti (Giuseppe Ranieri, pp. 18-22; mentre scrivo la squadra ha appena ottenuto, dopo quasi vent’anni, la promozione in serie B). Si torna al nord del paese con Francesco Zema, che parla di calcio e identità in Sud Tirolo/Alto Adige, soffermandosi in particolare sul FC Südtirol di Bolzano (pp. 23-27: attualmente al terzo posto del campionato di serie B), per poi ridiscendere a Sesto S. Giovanni, la ex «Stalingrado d’Italia» che oggi «culla gli scheletri delle proprie fabbriche», ma pur sempre capace di mantenere nel calcio professionistico (serie C) la propria squadra, la Pro Sesto (pp. 30-32). Un’impresa non riuscita al Pro Piacenza, come ricorda Nicolò Premoli (pp. 28-29).

Chiude il numero la consueta rubrica Parole nel pallone, dedicata alla Top 11 di volumi, opere musicali o cinematografiche più o meno recenti, che si apre con How to run a football club di Jim Keoghan (2020), dedicato al mondo del calcio inglese «grassroots»; accanto ai molti titoli stranieri, sono tra gli altri segnalati  importanti contributi sociologici (dall’ultima opera di Alessandro Dal Lago prima della scomparsa, dedicata alle arti marziali – Sangue nell’ottagono, 2022 – a Cultural stadi di Simone Tosi, 2018). Un numero-puzzle, che dal sud al nord – bypassando il centro? – analizza una realtà profondamente radicata nel tessuto sociale, politico ed economico del paese.

Con il n. 7 si tornano ad affrontare questioni di attualità: il Mondiale il Qatar, di cui si è discusso moltissimo prima (soprattutto), durante e dopo lo svolgimento del torneo, vinto dall’Argentina sulla Francia. Il numero, concepito, scritto e pubblicato prima, parte dalla prospettiva italiana, segnata dalla nuova esclusione della Nazionale (Italout di Simone Renza, pp. 22-23), per assumere una prospettiva internazionale. In linea con gli interessi di «Linea mediana», si parla soprattutto delle critiche al Mondiale, ricostruendo le prese di posizione assunte da alcune curve (del centro-nord europeo) e da qualche addetto ai lavori: Yann Dey-Helle rende conto del dibattito francese sullo sportwashing, pratica ormai molto diffusa in paesi che, attraverso lo sport, provano a riscattare la loro immagine negativa per il mancato rispetto dei diritti umani (civili, religiosi, del lavoro, ecc.): non è la prima volta che accade e anzi è un filo rosso che accompagna praticamente tutte le edizioni dei Mondiali di calcio maschili fin dagli esordi, come ricorda Nicola Sbetti in Mondiali di Stato (pp. 24-27).

Per quanto riguarda nello specifico il Qatar, Vincenzo Lacerenza ne traccia le vicende calcistiche a partire dagli anni ’80 del ‘900 (L’attaccante che ha inventato il calcio in Qatar, ovvero Mansor Muftah: pp. 9-11) e soprattutto nel nuovo millennio, quando l’emirato qatariota “sostituisce” quello kuwaitiano come “potenza” calcistica di riferimento nel Golfo Persico (Francesco Esposito, pp. 5-8). A queste ricostruzioni fa seguito – a chiusura del numero – una sintetica ricostruzione di Valerio Moggia delle vicende medio-orientali e in particolare dei tesissimi rapporti tra Qatar e l’ampia coalizione saudita (pp. 38-40): la cornice entro la quale si è svolto per la prima volta un Mondiale in inverno, costringendo – tra le altre cose – gli atleti a un notevole stress psico-fisico, come ricorda Federico Castiglioni (pp. 19-21).

Il tema del boicottaggio è stato come noto al centro del dibattito sui mondiali in Qatar, e le varie posizioni si riflettono anche in questo numero, che propone due letture diverse: quella di Matthias Moretti (contrario, nell’idea che il boicottaggio, espressione di un «malcelato senso di superiorità di stampo colonialista» e di una «oziosa campagna di opinione perfetta per l’epoca della pubblicità e dei social», possa essere un’arma a doppio taglio: pp. 12-14) e quella di Edoardo Molinelli, che nel sostenerne la legittimità passa in rassegna la storia dei tentati boicottaggi per ragioni politiche della Coppa del Mondo, quasi tutti destinati, in misura diversa, a fallire. Da Svezia 1958 – quando il ritiro di Egitto e Turchia in segno di protesta contro Israele, a due anni dalla crisi di Suez, non bastò alla squadra israeliana per staccare il pass per la competizione – a Inghilterra 1966, che vide il clamoroso ritiro delle 15 squadre della federazione calcistica africana (CAF) contrarie al sistema di assegnazione dei posti e al Sud Africa dell’apartheid, ammesso nel gruppo asiatico; e ancora, la partita “fantasma” tra Urss e Cile nello spareggio per Germania 1974, e soprattutto Argentina 1978, dove l’attività del Comité pour l’Organisation par le Boycott de l’Argentine de la Coupe du Monde de Football (COBA), pur non ottenendo risultati concreti, ebbe il merito di portare all’attenzione dell’opinione pubblica mondiale il tema dei Mondiali disputati in paesi dittatoriali  (pp. 15-18).

Chiudono il numero due «formazioni»: quella consueta di Niccolò Rondinelli su libri e dischi da segnalare (Parole nel pallone), e quella di Giuseppe Ranieri che seleziona dieci partite dei Mondiali che, non entrate nel «pantheon dei ricordi», meritano a suo parere di essere comunque segnalate per motivi geopolitici o sportivi: da Italia-Norvegia del 1938 a Marsiglia (con i fischi al saluto romano da parte degli esuli antifascisti) a Francia-Senegal del 2002 a Seul, con l’ex colonia vittoriosa sull’ex colonizzatore, passando – ad esempio – per Brasile-Svezia del 1978 a Mar del Plata, con il centravanti dell’Atletico Mineiro Reinaldo che pagò l’esultanza a pugno chiuso dopo il gol del pareggio con un confinamento in panchina per buona parte del torneo.

Il n. 8, previsto per il maggio 2023, sarà dedicato al concetto di «decadenza», declinato in varie forme: dalla crisi della serie A alla perdita di importanza del calcio sudamericano, dalla scomparsa delle squadre dell’ex DDR al triste epilogo della rivalità Messi-CR7, per finire con un focus su eventi più recenti relativi alla gestione in Italia dell’ordine pubblico.

Francesca Tacchi

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