| Interviste

La cultura greco-romana e i barbari del presente

Dialogo con Giusto Traina, storico del mondo antico, su ideologie, scuole e scuola

Lo scorso aprile, a margine del festival letterario Fact Checking in tour, organizzato in alta Toscana e in Liguria dagli editori Laterza, abbiamo incontrato Giusto Traina, docente di storia romana alla Sorbona e autore di una recente monografia della fortunata collana Fact Checking diretta da Carlo Greppi, dal titolo significativo e solo in apparenza ingannevole: I Greci e Romani ci salveranno dalla barbarie (rigorosamente senza punto interrogativo).

Il dialogo ha toccato molti temi, per approdare a una sentita riflessione sull’insegnamento della storia a scuola. Traina, che ora è tornato a insegnare anche all’Università del Salento, è una figura molto particolare nel panorama dell’antichistica italiana, anzitutto perché la sua è una visione “inclusiva” (mediterranea, ma anche eurasiatica) della storia greco-romana, richiamando l’attenzione sui rapporti fra l’imperium Romanum e gli altri popoli antichi, come nel suo La guerre mondiale des Romains, edito da Fayard (la traduzione italiana, La prima guerra mondiale della storia, uscirà dopo l’estate, sempre per i tipi di Laterza), o nel recentissimo Imperium, edito da Solferino.
Di conseguenza si oppone vistosamente all’inclinazione occidentale delle letture consuete, e scolastiche, dell’imperialismo romano, esaltando quei secoli germinali dell’età tardoantica di cui nessuno sa (e di cui nessuno, diciamolo, vuole sapere). Va da sé che Traina non ama essere etichettato come “classicista”, preferendo la qualifica di antichista. Detesta la retorica di quei classicisti che tratta alla stregua di “fuoco amico”, considerandoli ben più dannosi dei wokist e dei presunti cancellatori. E si spende perché l’insegnamento dell’antico, sia scolastico che universitario, dia maggior risalto alla storia e ai fatti. Anzitutto perché, parafrasando von Clausewitz, a suo parere la storia altro non è che “la filologia (quella vera, non la fuffa letteraria) perseguita con altri mezzi”. E poi, come mostra in varie sezioni del suo Fact Checking, perché ritiene che l’antico vada purificato dalla venerazione monumentale che la cultura italiana va a tributargli con enfasi eccessive, in particolare con il funesto ritorno delle famigerate “radici greche e romane”.

Mariangela Caprara: Come ti è venuto in mente di fare quest’incursione nella storia contemporanea?

Giusto Traina: Le incursioni degli antichisti nella storia contemporanea sono tutt’altro che infrequenti: basti citare il più fulgido degli esempi, ossia Luciano Canfora. La questione è come poi la vivano gli storici contemporaneisti… Ma questo è un problema loro. Certo, sono un ospite un po’ incongruo della collana, rispetto ai più giovani autori che si sono occupati di questioni scottanti di storia contemporanea (basti citare i felici saggi di Eric Gobetti e Francesco Filippi), ma non sono accademici strutturati, e sono per questo spesso oggetto di critiche e attacchi proporzionali al loro successo editoriale. Da buon “professorone”, ordinario di lungo corso, mi sento piuttosto al riparo, come del resto l’altra antichista di Casa Greppi: la “giovane promessa” Alice Borgna, autrice di Tutte storie di maschi bianchi morti…(2022), l’unico libro italiano che ha trattato con intelligenza di classici e cancel culture, professoressa associata di latino all’Università del Piemonte Orientale.

Nel mio Fact Checking voglio prendermela con chi ha manipolato e/o maltrattato il mondo antico e con chi come antichista, o meglio come classicista (per me non è un complimento), inquadra i classici da una posizione diversa dalla mia, rendendo così un pessimo servizio all’antichistica presso un pubblico che non è più quello di 50/60 anni fa. Allora il latino, il greco, la civiltà classica, godevano di una notevole considerazione: oggi non possiamo dire lo stesso. Oggi si sente molto meno il bisogno dei classicisti, ossia di cultori del primato degli antichi, che poi sarebbero solo i Greci e i Romani al maiuscolo. Colgo l’occasione per ricordare che nel testo del libro, adeguandomi all’uso più recente di indicare i nomi di popoli al minuscolo: quindi i greci e i romani, e non i Greci e i Romani. Se per Nanni Moretti “le parole sono importanti”, è bene fare attenzione anche alle grafie. Insomma, più che di classicisti (diciamolo: non ci salveranno più di tanto dalla barbarie) abbiamo bisogno di antichisti, che guardino al mondo antico nelle molteplici articolazioni delle sue realtà geografiche, storiche e culturali, con uno sguardo diretto e puntuale.

MC: In effetti siamo sommersi dalla pubblicistica sull’antichità: Omero, i miti antichi, Atene e Sparta. Ora va di moda Enea, per esempio, in quanto archetipo del migrante (una lettura assai discutibile, ma il classicismo è appunto questo: c’è un archetipo greco-romano, ma soprattutto greco, per ogni cosa). Molto è letteratura, se non vera e propria fiction. Tu invece hai parlato dell’antico nell’età contemporanea con un taglio decisamente storico, anche se con toni leggeri che sembrerebbero smorzare la grande erudizione.

GT: Ti dirò di più: io mi sono occupato non dell’età contemporanea, ma di quello che i francesi chiamano le temps présent, perché, per dirla tutta, perfino la Seconda guerra mondiale non è più tanto contemporanea. Oggi assistiamo ad un uso e abuso dell’antico che si muove su coordinate diverse e quindi produce una gran massa di fenomeni e di vicende. Ho circoscritto la mia narrazione al Novecento, e ho dovuto tagliare molti argomenti possibili, per creare un’opera di agile lettura; ho esaminato anche aspetti meno noti, per esempio gli Americani e il loro riuso kitsch dell’antico dagli anni Sessanta alle varie declinazioni del Caesars Palace, o l’amore non riamato per i classici da parte di alcuni politici (ce n’è uno in particolare, italiano, con cui ho maramaldeggiato: chi vorrà procurarsi il libro lo troverà più volte citato, per alcuni episodi all’insegna dell’umorismo involontario).

Fact Checking in tour presso il liceo classico di Massa

A margine del Festival Fact Checking in tour mi sono anche confrontato con diverse scuole, purtroppo solo dei licei classici (forse si riteneva che fossero gli interlocutori privilegiati di un antichista), ed è lì che ho trovato i fenomeni più interessanti: non tutti gli insegnanti usano lo stesso approccio. Alcuni di loro, cercando di invogliare gli alunni verso il greco, il latino e la storia antica, ottengono l’effetto opposto: sono il fuoco amico, e si servono principalmente di due tecniche, spesso coesistenti. La prima consiste nell’additare il classico come modello, falsando i fatti e depotenziandoli, in un effetto paradossale e più nocivo, perché nascosto nelle pieghe della vita d’aula. Il danno che fa un ministro tecnocratico quando dice “Basta Guerre puniche!” – sbagliando clamorosamente, per quello che quel conflitto significò per la geopolitica del Mediterraneo antico – è un danno lieve, passeggero; ma quando l’insegnante cerca di spiegare le Guerre puniche presentandole come qualcosa che ha a che fare con le nostre radici, diventa il fuoco amico, entrando in assoluta buona fede nella folta schiera degli individui che si rifugiano nel mondo classico per fuggire dai mali del mondo, con ciò perdendo pezzi tra i loro alunni.

E poi, chi ha detto che le Guerre puniche rappresentano solo le radici delle giovani e dei giovani italiani? Come la mettiamo con gli scolari di origine tunisina? Nei miei confronti con delle classi liceali ho insistito su questo punto: mettiamo via una buona volta le radici, ma non trascuriamo le molteplici origini. Peggio ancora quelli che, con altra tecnica, attualizzano, perché banalizzano. Chi attualizza non fa pensare. E non parliamo dei divulgatori da quattro soldi che pretendono di sostituirsi ai noiosi insegnanti di storia.

MC: Sono molto d’accordo con te nel focalizzare l’attenzione sulla scuola. Nella scuola, alla disperata ricerca di una relazione feconda con gli studenti, alcuni insegnanti banalizzano, rincorrendo per lo più le mode del momento, quasi in un’estensione di ciò che i social network e i mass media producono. Il professore di latino e greco, sentendosi sotto assedio, sacrifica il rigore. Il senso storico viene meno e viene sostituito da veri miti sull’antico. In nome del rigore che io auspicherei, uno storico antico ha qualcosa da insegnare anche agli storici contemporanei? Lo sguardo lungo di un antichista può fornire indicazioni di metodo anche agli storici che si occupano di altre fasi temporali?

GT: Certamente! Se mi fai questa domanda, è perché hai una formazione genuinamente filologica, e per un filologo degno di questo nome, anche per il filologo formale più incallito, la storia antica (come anche la geografia storica del mondo antico) ha un ruolo fondamentale. E non lo dico io, che filologo non sono: lo diceva già Giorgio Pasquali.

Giorgio Pasquali

Ma questo non è il caso di quei classicisti che hanno privilegiato gli studi letterari al punto da mettere in soffitta gli studi storici, magari cercando il rimedio universale nella cosiddetta antropologia del mondo antico (che comunque non sembra coincidere troppo con l’antropologia propriamente detta). Ti rispondo partendo da Croce: “ogni vera storia è storia contemporanea” (1915). Quindi anche nel campo degli antichisti gli storici possono aspirare a diventare storici del mondo antico nell’età contemporanea, o dell’età contemporanea tout court. Il contemporaneista difficilmente riesce a fare il percorso inverso. È chiaro che per lui la prospettiva temporale, ma anche quella spaziale, si accorcia, tanto più quando deve recarsi in archivio alla ricerca di fatti locali (cosa beninteso sacrosanta).

Il mondo attuale ha bisogno forse di una storia un po’ più aperta, di una storia di processi, di dinamiche, anche superando i campi disciplinari individuati nel lungo corso degli studi storici. Certo non mi sento di proporre, come i pedagogisti, l’inserimento della storia dell’Africa subsahariana nei programmi scolastici. Intendiamoci, a me starebbe anche bene, però per cambiamenti così macroscopici ci vogliono insegnanti che studino molte ore ben al di là del loro servizio e con grande sacrificio della loro vita privata – perché, per quanto strano possa sembrare, anche gli insegnanti hanno diritto a una vita privata e a qualche settimana di vacanza, al di là della bufala dei tre mesi… Non è facile. Bisogna piuttosto suscitare l’interesse degli insegnanti verso un sapere che non sia solo quello scolastico, tradizionale e rassicurante, e questo interesse poi si trasmetterà agli studenti – certo non arrivando a salire sul banco proclamando “o capitano mio capitano!”, perché allora prendo la fionda e lo butto giù.

MC: Per chiudere: cosa pensi di un’eventuale riforma che affidi l’insegnamento della storia, nella scuola secondaria, solo a storici di formazione?

GT: Ogni tipo di insegnamento ha pregi e difetti. In Francia non abbiamo avuto Giovanni Gentile e quindi storia e filosofia non sono abbinate. A dire il vero, anche in Italia questo abbinamento vige solo nel liceo: poi ci sono tutti gli altri indirizzi della scuola secondaria, fino agli istituti professionali, dove le cose sono diverse. In Francia storia è abbinata a geografia, e da qui è scaturita la nuova disciplina denominata geostoria, un ircocervo accolto anche nell’ordinamento scolastico italiano. Da antichista dico che la filosofia è importante, per carità, la filologia benissimo, ma pure la geografia. La storia è fatta di spazio e tempo. Territori e date. In Italia si è fatta una guerra alle date, spesso in nome dell’adagio “meglio una testa ben fatta che una testa ben piena”. La frase di Montaigne, che è stata poi rivista e un po’ distorta da Edgar Morin, in Italia è diventata motto della lotta alle date, e questo soprattutto nelle mani di filosofi di formazione che hanno dovuto insegnare anche storia nei trienni liceali.

Questo non va bene. L’antico non è messo meglio, a scuola, perché lo stesso docente deve insegnare greco e latino, sacrificando una geostoria che non sa da che parte prendere. Ma mi fermo qui, anche perché la mia esperienza nella scuola secondaria si limita a qualche ora di greco e storia dell’arte che tenni nel remoto 1985, in un seminario cattolico, per soli tre mesi. D’altra parte, non sono del tutto ignaro della scuola italiana: come si dice, “alcuni dei miei migliori amici sono insegnanti”, soprattutto italiani. La mia idea è che la storia è importante, e chi la trascura in nome di una formazione pregressa non prettamente storica deve farsi un esame di coscienza, perché stiamo vivendo “anni interessanti”; mi riferisco ovviamente alla formula cinese di maledizione “che tu possa vivere anni interessanti”. Ecco, se non studiamo ci finiamo dritti, negli anni interessanti, e molto probabilmente sotto i nuovi padroni venuti dall’Estremo Oriente.

Perché, care ragazze e cari ragazzi, io vi vedo che vi distraete durante le lezioni di storia. Poi, però, non prendetevela quando la superpotenza cinese avrà finito per occupare l’occupabile. Fidatevi, non è una versione contemporanea del “Pericolo Giallo”: e se non vi fidate di un povero antichista, leggetevi l’ultimo libro di Alessandro Aresu e poi se ne riparla. Ai più dotati consiglierei invece di imparare quanto prima qualche centinaio di ideogrammi, e poi dedicarsi alla conoscenza dei classici del Celeste Impero. Perché i cinesi i nostri classici li conoscono e li rispettano. E se noi non recuperiamo il rigore – sai, quello del liceo classico di una volta – saranno altri individui cresciuti in una scuola più rigorosa a guadagnare le posizioni più elevate, anche nell’insegnamento. Altro che sovranismo.

Intervista a cura di Mariangela Caprara

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